I giorni compresi tra il 31 maggio e il 20 giugno 2015 hanno visto noi novizi, maestro e vicemaestro di Morano Calabro in terra d’Albania per un’esperienza formativa volta alla conoscenza della missione che i frati cappuccini di Puglia sostengono ivi da più di vent’anni. In questo breve ma intenso soggiorno abbiamo visto due volti di questo paese: uno più cittadino, moderno e in via di occidentalizzazione a Scutari, capitale cristiana e culturale dell’Albania; e un altro più rurale e meno abitato nei pressi di Fushё Arrёz, piccolo villaggio sulle montagne al confine col Kosovo dove il tempo scorre molto più lentamente, poiché è scandito dalla natura e dal succedersi delle stagioni.
Nell’arco di queste tre settimane abbiamo cercato di mantenere, per quanto possibile, il normale ritmo del noviziato lasciandoci comunque permeare dagli avvenimenti e dagli imprevisti, dando altresì spazio alla meditazione così da far risuonare in noi incontri, persone e volti.
Ignorando la lingua, il primo impatto è stato per alcuni “traumatico” ma nello stesso tempo ci ha dato l’opportunità di riflettere sull’importanza della comunicazione. Scoprendo che la prima carità del buon missionario è imparare la lingua, abbiamo comunque sopperito a questa mancanza riscoprendo un linguaggio più profondo fatto di sorrisi, gesti e abbracci, come è stato ad esempio nel caso di una visita ad una madre affetta da tumore.
Anche tra di noi, complice il cambiamento del luogo, abbiamo sperimentato un modo nuovo e più genuino di essere fratelli. Abbiamo conosciuto il cuore accogliente e generoso di questo popolo che è stato provato per decenni dalla povertà (non solo materiale), ma che non ha esitato a condividere con noi quello che aveva. Questo ci ha permesso di ripensare alla vita di povertà che vorremmo abbracciare appieno.
Particolare impressione ci ha recato la toccante testimonianza di due suore che hanno vissuto da postulanti gli anni del comunismo conservando la fede e manifestando Cristo nell’invisibilità dei segni, una come maestra e l’altra come infermiera. Questa esperienza di vita nel segno dell’eroicità ci ha interpellato sulla qualità del nostro testimoniare l’amore di Cristo e sulla fedeltà alla nostra vocazione cristiana sulle orme di Francesco anche nei momenti di prova e di difficoltà.
Una delle esperienze che più ci ha fatto rendere conto di cosa sia stato vivere la fede durante il regime, facendoci toccare con mano la sofferenza di questo popolo, è stata la visita all’ex carcere di Scutari. Dapprima convento dei frati Minori, reso poi luogo di torture sotto il comunismo, oggi è divenuto monastero di clausura grazie alle Clarisse che hanno trasfigurato quelle sbarre simbolo di morte in un inno alla vita donata per amore al Signore e ai fratelli.
L’aver visto di persona quei luoghi in cui tanti nostri fratelli hanno testimoniato la loro fede a costo della vita, ci ha reso più consapevoli che lì dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia (Rm 5,20), perché tutto concorre al bene di coloro che amano Dio (Rm 8,28). Il sangue dei martiri è vero sangue di Cristo, il loro corpo sofferente è Corpo di Cristo e da questa loro testimonianza rifiorisce la fede di una Chiesa giovane, che ha molto sofferto ma non si è mai fatta rubare la speranza.
Questa unione nel dolore ha fatto sì che ad oggi in Albania, più che altrove, convivano tra loro musulmani, cattolici e ortodossi a testimonianza del fatto che è possibile vivere la pace di cui oggi c’è tanto bisogno.
Ma da questo viaggio, oltre ad aver colto tante cose belle e costruttive, abbiamo tratto anche aspetti forse meno belli, ma non per questo meno importanti o formativi. Ci riferiamo per esempio alle “scomodità” incontrate nella parte più montuosa dell’Albania, dove le strade non asfaltate e la mancanza di infrastrutture adeguate isolano ancor di più i villaggi.
Qui, a fronte di una bellezza quasi edenica del paesaggio, pur sfregiato da quel che resta dei bunker del comunismo, permane una povertà che è si di tipo materiale, ma forse anche di altro tipo. Ci riferiamo al fatto che in molti di questi luoghi non esiste una pastorale quotidiana ma la celebrazione eucaristica e le varie attività catechistiche vengono assicurate soltanto una volta al mese, e mentre un tempo queste terre non potevano vivere la fede per la dittatura atea, ora pur essendoci libertà di culto, mancano “gli operai della messe”.
A noi sono piaciuti questi “luoghi d’infinito”, perché l’Infinito ci ha già visitati e ne conosciamo la porta, cioè Cristo! Ma forse, dal punto di vista occidentale di vedere le cose, per chi non conosce Dio questi monti sono soltanto un luogo angusto in cui cercare di sopravvivere e niente di più…
Da questo viaggio in Albania abbiamo preso più che dato; ma se dovessimo dare qualcosa, cosa daremmo? Allo storpio Pietro disse: “Non possiedo né oro, né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!” (At 3,6).
Ecco, se dovessimo decidere cosa dare, daremmo la gioia della povertà, ad un popolo che ha conosciuto la tristezza della miseria comunista e che ora che conosce il capitalismo pensa forse di arricchirsi, caricandosi di un fardello che lo renderebbe nuovamente storpio e incapace di camminare.
Questo ci fa capire che c’è ancora molto da lavorare e che non bisogna escludere la possibilità che il Signore ci chiami in prima persona a partire per fare qualcosa. Sta a noi aprire il cuore e lasciare che il Signore ci conduca là dove Lui vuole, lasciando le nostre sicurezze e fidandoci soltanto di Lui, perché in fondo “la fede è partire” (don Andrea Santoro).